12 ottobre 2006

Un uomo medio

"...lei non ha capito niente perché è un uomo medio. Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista"

"...usted no ha entendido nada porque es un hombre-medio. Un hombre-medio es un monstruo, un peligroso delincuente, conformista, racista, esclavista, indiferente a la política"

Pier Paolo Pasolini

12 settembre 2006

Buon 11 settembre

Vignetta di El Roto su EL PAIS 11 Set. 2006

Domani è l'11 settembre. Con tempismo, l'ufficio stampa di Bin Laden ha reso noto uno spot di 5 anni fa: il più cattivo del mondo che mette a punto gli ultimi dettagli della più grande e sanguinosa operazione di marketing mai inventata. Rispondono i filmati non meno agghiaccianti e non meno ridicoli, del comandante in capo George Bush, tutto teso a spiegare che sta vincendo le sue tante guerre, mentre è chiaro a tutti che non ne sta vincendo nemmeno una. Sono passati 5 anni da quando ci siamo incollati con il cuore in gola alla tivù a veder venir giù le torri, e ancora siamo appesi alle labbra, alle parole, ai gesti e alla facce di questi due micidiali, incalcolabili cialtroni. Buon anniversario.
Domani è l'11 settembre. Degli ultimi 5 anni si ricordano massacri, porcate, stragi, violenze inenarrabili, invasioni, torture e una cosa è certa: non abbiamo fatto nemmeno un mezzo passettino in avanti. La dottrina Bin Laden - che nessuno sa catturare - e la dottrina Bush sono ancora lì a guardarsi negli occhi, speculari. Nel frattempo, il presidente petroliere ha dato l'assalto all'Afghanistan (da dove, sia chiaro, «non ce ne andremo!»), all'Iraq (da dove ce ne andremo troppo tardi). Le Torri hanno fatto da garanzia all'investimento sui giacimenti di Saddam. Le «pistole fumanti» sono state raccattate da Internet, inventate a Roma (il dossier sull'uranio del Niger), agitate davanti all'Onu (le famose armi di distruzione di massa). Cinque anni, e siamo a questo punto, cioè peggio che al punto di partenza.
Domani è l'11 settembre. L'offesa all'umanità venuta da quel giorno ha avuto 5 anni per amplificarsi, ingigantire, moltiplicarsi, infiammare mezzo mondo, portare terroristi dove non ce n'erano, seminare odio, torturare la gente, pisciare sul Corano, ammazzare civili e assicurarsi scorte di petrolio per qualche altro decennio. Tutte cose che offendono l'umanità. Ma quel che più offende è che quei due sono ancora lì, speculari, orribili e identici, con i loro discorsi e i loro filmati. Due assassini di massa che nessuno cattura, che ancora riempiono la scena, che si sostengono. Ognuno agita di fronte al mondo il pupazzo dell'altro, funzionale, perfetto per la benzina che tutti e due usano: la paura. Ah, e buon anniversario.

Alessandro Robecchi, il manifesto del 10 settembre 2006.

10 settembre 2006

In memoriam 9/11

Immagine di El Roto da EL PAIS 10/09/2006.

[...]
Sono il pompiere sfracellato con lo sterno a
pezzi....sepolto dalle macerie di un muro,
Ho respirato calore e fumo....udivo le grida di richiamo
dei miei compagni,
Udivo i colpi distanti delle picche e delle pale;
Hanno rimosso le travi....mi sollevano con tenerezza.

Giaccio all'aria della notte con la mia camicia
arrossata....per me si fa un gran silenzio,
Ormai non sento più male e giaccio esausto ma non
così infelice,
Bianchi e bellissimi sono i volti che mi attorniano....le
teste senza più elmetti,
La folla inginocchiata svanisce con la luce delle torce.

I morti e gli assenti resuscitano,
Prendono l'aspetto di un quadrante o si muovono come
fossero le mie lancette....e io stesso sono l'orologio.
[...]

Walt Whitman, Leaves of Grass, in Foglie d'erba 1855 a cura di Mario Corona,  Marsilio, Venezia 1996, p. 209.

25 agosto 2006

Solitudine

[...] Trovo salutare restar solo per la maggior parte del tempo. Essere in compagnia, anche dei migliori, provoca subito noie e dispersioni. Amo restar solo. Non trovai mai un compagno che fosse tanto buon compagno della solitudine. Per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. Un uomo che pensi o lavori è sempre solo - lasciatelo stare dove vuole. La solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un uomo e il suo prossimo. Lo studente realmente studioso, è un solitario, in uno degli affollati alveari di Harvard come un derviscio nel deserto. Il contadino può lavorare da solo per tutto il giorno, nel campo o nel bosco, zappando o tagliando legna, e non sentirsi tale perché ha qualche cosa da fare; ma a sera quando torna a casa, non può sedersi da solo in una stanza, alla mercé dei suoi pensieri, ma deve restare dove può "veder gente", e ricreare e - come s'immagina - remunerare se stesso per la sua solitudine giornaliera; pertanto, egli si meraviglia come mai lo studente possa sedere, solo, in casa, per tutta la notte e gran parte del giorno, senza noia e pensieri neri; non capisce che lo studente, sebbene in casa, sta ancora lavorando il suo campo e sta tagliando nel suo bosco, come il contadino, e che a sua volta cerca lo stesso divertimento di quest'ultimo, sebbene, magari, in una forma più condensata. [...]

Henry David Thoreau, in Opere scelte di H. D. Thoreau a cura di Pietro Sanavio, Neri Pozza, Venezia 1958, p. 398.

16 luglio 2006

In viaggio verso l'amore

Amico mio, sei forse in viaggio
verso il tuo amore in questa notte di tormenta?
Il cielo stride come un'anima in pena.

Non riesco a prender sonno stasera.
A tratti socchiudo l'uscio e sbircio
fuori nel buio, amico mio.

Nulla scorgo davanti a me e mi domando
dove corra il tuo sentiero.
Lungo quale argine di un buio fiume,
lungo quale confine di un'orrenda foresta,
attraverso quale intrico di fitte tenebre
si snoda il sentiero che stai battendo
per giungere a me, amico mio?


Rabindranath Tagore, Morning songs, A. Narayami, Calcutta 1883 (la trad. è di L. Vanadio).

Il giardino

Non un fremito d'aura giocondo
nell'afa ardente. Su l'immota frasca
tace ogni trillo, e boccheggianti a fondo
giacciono i pesci d'oro entro la vasca.

Passa d'uccelli una tribù fuggiasca
radendo in fila il bosco sitibondo,
e i gigli stanchi senton la burrasca
che soffocante gravita sul mondo.

Oh mentre il viso tuo sfiorisce e langue
come quei figli, e fra ridente e mesta
mi guardi effusa d'un pallore esangue,

tu pure, inconscia, senti la tempesta
d'amor che t'urge e che t'affanna il sangue,
e stanca di desio pieghi la testa.


Giovanni Marradi, in Il tesoro della poesia italiana. Dal Seicento all'Ottocento, a cura di G. Davico Bonino, Mondadori, Milano 1982.

15 luglio 2006

Perché non dirlo?

Deliri come tu sola sai farlo.
E io compongo numeri
come per mangiare.
Tu deliri e io compongo numeri - questi versi -
come per bere.
E ci dimentichiamo, nel tuo delirio e nelle mie metriche,
della morte che sta dietro il balcone,
e della vita che sale per il camino,
come una strega,
in questa lunga canna sormontata da palme
che è l'esistenza,
che è la pazienza,
che è - perché non dirlo? - la nostra innocenza.

José Moreno Villa, in Vittorio Bodini, I poeti surrealisti spagnoli a cura di Oreste Macrì, Einaudi, Torino 1988, vol. II.

Quanto ti odio!

Quest'incontro l'ho combinato
a prezzo di molti stratagemmi.
Arrivo trafelata
e scopro che russi forte
- ah, quanto ti odio! -
D'accordo, mi sgriderai,
ma ti sveglio:
e, invece, ti giri dall'altra parte
- ah che rabbia mi fai! -

Il tempo scorre silenzioso
in queste notti di primavera.

Anonima giapponese, in The best geisha's songs, a cura di B. Fiedler, Mac Millan, London - New York 1986 (la traduzione è di U. Bottoni).

Il vento scrive

Su la docile sabbia il vento scrive
con le penne dell'ala; e in sua favella
parlano i segni per le bianche rive.

Ma, quando il sol declina, d'ogni nota
ombra lene si crea, d'ogni ondicella,
quasi di ciglia su soave gota.

E par che nell'immenso arido viso
della piaggia s'immilli il tuo sorriso.

Gabriele D'Annunzio, Alcyone, a cura di P. Gibellini, Einaudi, Torino 1996.

25 giugno 2006

Quelle sue labbra ch'era peccato mordere

Quelle sue labbra ch'era peccato mordere
tanto infantili e tenere s'aprivano
(neve di sogno non può il tempo sciogliere)

chiude un sigillo di divina cera.
Ma avete flauti eterni come il mare,
o labbra più profonde della sera.


Maria Luisa Spaziani, Poesia d'amore del Novecento a cura di Angela Urbano, Crocetti Editore, Milano 2005. Pubblicata sul web in POESIA.

24 giugno 2006

Assenza ovunque vedo

Assenza ovunque vedo:
nei tuoi occhi la rifletti.

Assenza ovunque ascolto:
la tua voce suona tempo.

Assenza ovunque aspiro:
il tuo fiato d'erba odora.

Assenza ovunque tocco:
si spopola il tuo corpo.

Assenza ovunque sento.
Assenza. Assenza. Assenza.

Miguel Hernández, in Poeti del Novecento italiani e stranieri, a cura di E. Croce, Einaudi, Torino 1960 (la trad. di questa lirica è di D. Puccini)

14 giugno 2006

In sogno ti vedo ogni notte

Io sogno ti vedo ogni notte
mi saluti, nel sogno, con affetto;
ed io, rompendo in lagrime dirotte,
ai piedi tuoi mi getto.

Tu mesta a me guardi fisso,
e scuoti la testina bionda;
a perla a perla, lento per il viso,
il pianto dagli occhi ti gronda.

E mi sussurri lieve una parola,
e un mazzo di cipresso mi dài tu.
Io mi desto ed il mazzo s'invola,
e la parola, ahimè, non la so più.


Heinrich Heine, Il libro dei canti, intr. di V. Santoli, trad. di A. Vago, Einaudi, Torino 1983.


05 giugno 2006

Es verdad (È vero)

¡Ay que trabajo me cuesta
quererte como te quiero!

Por tu amor me duele el aire,
el corazón
y el sombrero.

¿Quién me compraría a mí
este cintillo que tengo
y esta tristeza de hilo
blanco, para hacer pañuelos?

¡Ay que trabajo me cuesta
quererte como te quiero!


È vero

Ahi quanto mi costa
amarti come ti amo!

Per amor tuo mi duole l'aria,
il cuore
e il cappello.

Chi comprerebbe da me
questo nastrino che ho
e questa tristezza di filo
bianco, per fare fazzoletti?

Ahi, quanto mi costa
amarti come ti amo!


Federico García Lorca, Imprevisto amore, a cura di Donatella Ziliotto, Salani, Milano 2001. La traduzione di questa poesia è di Piero Menarini.

03 giugno 2006

Se non ci sei...

Se non ci sei, mi sembra un sepolcreto
questo villaggio;
svanita è la malía del paesaggio,
del verde idillio queto
se non ci sei.

Se non ci sei, rifaccio il mio sentiero
a fronte bassa,
e i colli, i fior, la nuvola che passa,
tutto mi è strano e nero,
se non ci sei.

Se non ci sei, se non ti leggo in volto
che sai ch'io t'amo,
che irrequïeto ti sogno e ti chiamo,
che il raggio mio m'è tolto,
se non ci sei;

se non ci sei, mi avvinghia oscuramente
nelle sue braccia
la Noia, incúbo dalla tetra faccia;
l'ore son nebbie lente
se non ci sei;

ma se ti trovo, sfuggon via col volo
delle farfalle;
ride la casa, un cantico è la valle,
un trillo d'usignuolo,
quando ti trovo!

Giovanni Camerana, in Il tesoro della poesia italiana. Dal Seicento all'Ottocento, a cura di G. Davico Bonino, Mondadori, Milano 1982.

Digitale purpurea

I.

Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,

l’altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch’ardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti

più?» «Non più, cara.» «Io sí: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;

quei piccoli anni cosí dolci al cuore…»
L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi
quell ’orto chiuso? i rovi con le more?

i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? Quel segreto canto
misterïoso, con quel fiore, fior di …?»

«morte: sí cara». «Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.

Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
l’anima d’un oblío dolce e crudele.

Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea!» Maria parla: una mano
posa su quelle della sua compagna;

e l’una e l’altra guardano lontano.


II.

Vedono. Sorge nell’azzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno d’incenso.

Vedono; e si profuma il lor pensiero
d’odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d’innocenza e di mistero.

E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
là, da tastiere appena appena tocche…

Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
ospite caro? onde piú rosse e liete
tornaste alle sonanti camerate

oggi: ed oggi, piú alto, Ave, ripete,
Ave Maria, la vostra voce in coro;
e poi d’un tratto (perchè mai?) piangete…

Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
senza perché. Quante fanciulle sono
nell’orto, bianco qua e là di loro!

Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
di vele al vento, vengono. Rimane
qualcuna, e legge in un suo libro buono.

In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,

l’alito ignoto spande di sua vita.


III.

«Maria!» «Rachele!» Un poco piú le mani
si premono. In quell’ora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.

Memorie (l’una sa dell’altra al muto
premere) dolci, come è triste e pio
il lontanar d’un ultimo saluto!

«Maria!» «Rachele!» Questa piange. «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no; «Io, -

mormora, - sí: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a

ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.

Maria, ricordo quella grave sera.
L’aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M’inoltrai leggiera,

cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!

Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che vedi… (l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta

con un suo lungo brivido…) si muore!»

Giovanni Pascoli, Poemetti, a cura di E. Sanguineti, Einaudi, Torino 1971.

30 maggio 2006

Il più bello dei mari

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.

Nazim Hikmet, in Poesia d’amore del Novecento a cura di Angela Urbano, traduzione di Joyce Lussu, Kylix 6, Crocetti Editore, 2006.

27 maggio 2006

La Vida es Sueño

¿Qué es la vida? Un frenesí.

¿Qué es la vida? una ilusión,

una sombra, una ficción,

y el mayor bien es pequeño;

que toda la vida es sueño,

y los sueños, sueños son.


Calderón De La Barca, in La Vida es Sueño, Edición Evangelina Rodríguez Cuadros, Colección Austral, Espasa Calpe, S.A., Madrid, 1998.

23 maggio 2006

Serepta Mason

My life’s blossom might have bloomed on all sides

Save for a bitter wind which stunted my petals

On the side of me which you in the village could see.

From the dust I lift a voice of protest:

My flowering side you never saw!

Ye living ones, ye are fools indeed

Who do not know the ways of the wind

And the unseen forces

That govern the processes of life.



Il fiore della mia vita avrebbe potuto sbocciare da ogni lato
se un vento crudele non avesse tarpato i miei petali
sul lato di me che voi nel villaggio potevate vedere.
Dalla polvere innalzo una voce di protesta:
il mio lato in fiore non lo vedeste mai!
Voi che vivete, siete davvero degli sciocchi,
voi che non conoscete le vie del vento
e le forze invisibili
che governano il processo della vita.

(Traduzione di Letizia Ciotti Miller)


Edgar Lee Masters, in Antologia di Spoon River, a cura di Letizia Ciotti Miller, Newton Compton editori, Roma 1974.

20 maggio 2006

I due fanciulli

I

Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d'oro
dell'ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d'un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de' tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l'uno e l'altro, esangue,
ne' tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un'acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l'uno dell'altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

II

A letto, il buio li fasciò, gremito
d'ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d'ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L'uno si volse, e l'altro ancor, leggero:
nel buio udì l'un cuore, non lontano
il calpestìo dell'altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l'uno all'altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

III

Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.

Giovanni Pascoli, in Primi Poemetti, a cura di N. Ebani, Guanda, Milano 2005.

19 maggio 2006

Tutto è amore

Non aver fretta! – mi sussurrava una segreta voce –
Non è matura l’ora dell’amore! –
Ed io, incorreggibile disubbidiente,
soltanto a lei, Dio, ho dato ascolto –
né io stessa so il perché.

Non aver fretta! – E i grappoli tintinnano –
le campane di pioggia e di bronzo solare,
e nelle botti il vino sogna la tempesta,
si inaridiscono e si screpolano le labbra,
salate da una goccia di sangue.

Mistero d’amore, io non ti ho riconosciuto
nello sbocciare istantaneo della primavera.
Come è tangibile ciò che non sfioriamo,
come il calice non bevuto inebria,
come tutto è amore!

Blaga Dimitrova, in Segnali, a cura di Valeria Salvini, Fondazione Piazzolla 2000. Traduzione di Valeria Salvini. Pubblicata in Internet: POESIA, Mensile Internazionale di Cultura Poetica.

18 maggio 2006

Campidoglio

lei non sa quanto pesa
un cuore solitario
ci sono notti in cui la lana scura
la lana tiepida che mi protegge
arriva fino in cielo
e mentre dormo mentre respiro
mentre singhiozzo
mi si versa il latte bollente
sul viso
e allora una maschera magnifica
col sorriso del re di spade
copre il mio pianto
e tutto questo non è niente ancora
lei non mi crederà
ma lottare lottare lottare
tutte le notti con una tigre
fino a trasformarla in magnolia
e svegliarsi
svegliarsi ancora e non sentirsi
stanco e rifare ancora
striscia dopo striscia la stessa odiata tigre
senza dimenticare gli occhi gli intestini
né l’alito fetido
tutto questo per me
è molto più facile molto più leggero
mi creda
che non trascinare ogni giorno
il peso di un cuore desolato

Jorge Eduardo Eielson, in Nodi e corpi nudi a cura di Martha Canfield. Crocetti Editore, Milano 2006. Pubblicata in Internet: POESIA, Mensile Internazionale di Cultura Poetica.

17 maggio 2006

Vattene

Nel mio sogno non c'è posto
perché tu possa vivere. Non c'è.
Sogno è ogni cosa. E tu vi affonderesti.
Vattene a vivere altrove,
tu che sei viva. Se fossero
simili a ferro o a pietra
i miei pensieri, potresti restare.
Ma sono fuoco e nubi,
ciò che era il mondo al principio
quando non c'era nessuno.
No, tu non ci puoi vivere. Non c'è posto.
I sogni miei t'arderebbero.

Manuel Altolaguirre, in Vittorio Bodini, I poeti surrealisti spagnoli a cura di Oreste Macrí, Einaudi, Torino 1988, vol. II.

15 maggio 2006

Tutto come un tempo

«Tutto come un tempo»,
disse con tenerezza: «tutto, come un tempo».
La fissavo negli occhi infelice -
Tutto come un tempo.
Mi baciava stretto, m'abbracciava:
Tutto come un tempo.
Eppure qualcosa mi mancava...
Proprio cosí, come un tempo.

Igor Severjanin, in Piccolo quaderno dei poeti russi del secolo scorso, a cura di V. Miniussi, All'Angelo Raffaele, Venezia 1996.

Il pensiero

Se tu ami quanto io amo,
allora ogni minuto dal tuo cuore
un pensiero si diparte;
e con l'ali del desiderio vola
finché incontra in linea retta
un mio pensiero
cosí simile al tuo, che non possiamo sapere
se vada o venga da entrambi
finché non definiamo
a chi di noi due quel pensiero sia dovuto.

Edward Herbert di Cherbury, in Poeti metafisici inglesi del Seicento, a cura di G. Melchiori, Vallardi, 1961.

14 maggio 2006

Prolungamento di un bacio

Ieri ti ho baciato sulle labbra.
Ti ho baciato sulle labbra. Intense,
rosse. Un bacio così corto
durato piú di un lampo,
di un miracolo, piú ancora.

Il tempo
dopo averti baciato
non valeva piú a nulla
ormai, a nulla
era valso prima.
Nel bacio il suo inizio e la sua fine.

Oggi sto baciando un bacio;
non solo con le mie labbra.
Le poso
non sulla bocca, no, non piú
- dov'è fuggita? -

Le poso
sul bacio che ieri ti ho dato,
sulle bocche unite
dal bacio che hanno baciato.
E dura questo bacio
piú del silenzio, della luce.
Perché io non bacio ora
né una carne né una bocca,
che scappa, che mi sfugge.
No.
Ti sto baciando piú lontano.

Pedro Salinas, La voce a te dovuta, a cura di E. Scoles, Einaudi, Torino 1979.

Temo di raccontare quanto t'amo

Temo di raccontare quanto t'amo.
Ho paura che, udito il mio racconto,
la lieve brezza tra i cespugli, a un tratto pazza di gioia,
sulla terra s'abbatta come un uragano...

Temo di raccontare quanto t'amo.
Ho paura che, udito il mio racconto,
le stelle si fissino immobili in mezzo all'oscuro cielo
e una notte senza fine prenda a incombere.

Temo di raccontare quanto t'amo.
Ho paura che, udito il mio racconto,
il mio cuore si sgomenti della follia d'amore
e si spezzi, angosciato e felice.

Nikolaj Minskij, in Piccolo quaderno dei poeti russi del secolo scorso, a cura di V. Miniussi, All'Angelo Raffaele, Venezia 1996.

13 maggio 2006

Donna

Quand'eri
giovinetta pungevi
come una mora di macchia. Anche il piede
t'era un'arma, o selvaggia.
Eri difficile a prendere.
Ancora
giovane, ancora
sei bella. I segni
degli anni, quelli del dolore, legano
l'anime nostre, una ne fanno. E dietro
i capelli nerissimi che avvolgo
alle mie dita, più non temo il piccolo
bianco puntuto orecchio demoniaco.

Umberto Saba, Il canzoniere (1900-1954), Einaudi, Torino 1988.

12 maggio 2006

Ti sentii, perché a quell'orma

Ti sentii, perché a quell'orma
del tuo piede sul sentiero
mi dolse il cuore su cui un dí passasti.
Corsi impazzito; cercai per tutto il giorno;
come un cane randagio.
...Te n'eri andata! E il tuo passo calcava
il mio cuore, in una fuga senza fine,
come se lui fosse la strada
che ti portasse per sempre...

Juan Ramón Jiménez, in Poeti del Novecento italiani e stranieri, a cura di E. Croce, Einaudi, Torino 1960 (la trad. di questa lirica è di M. Socrate).

07 maggio 2006

Cet amour (Questo amore)

Cet amour
Si violent
Si fragile
Si tendre
Si désespéré
Cet amour
Beau comme le jour
Et mauvais comme le temps
Quand le temps est mauvais
Cet amour si vrai
Cet amour si beau
Si heureux
Si joyeux
Et si dérisoire
Tremblant de peur comme un enfant dans le noir
Et si sûr de lui
Comme un homme tranquille au milieu de la nuit
Cet amour qui faisait peur aux autres
Qui les faisait parler
Qui les faisait blêmir
Cet amour guetté
Parce que nous les guettions
Traqué blessé piétiné achevé nié oublié
Parce que nous l'avons traqué blessé piétiné achevé nié oublié
Cet amour tout entier
Si vivant encore
Et tout ensoleillé
C'est le tien
C'est le mien
Celui qui a été
Cette chose toujours nouvelle
Et qui n'à pas changé
Aussi vraie qu'une plante
Aussi tremblante qu'un oiseau
Aussi chaude aussi vivante que l'été
Nous pouvons tous les deux
Aller et revenir
Nous pouvons oublier
Et puis nous rendormir
Nous réveiller souffrir vieillir
Nous endormir encore
Rêver à la mort
Nous éveiller sourire et rire
Et rajeunir
Notre amour reste là
Têtu comme une bourrique
Vivant comme le désir
Cruel comme la mémoire
Bête comme le regrets
Tendre comme le souvenir
Froid comme le marbre
Beau comme le jour
Fragile comme un enfant
Il nous regarde en souriant
Et il nous parle sans rien dire
Et moi je l'écoute en tremblant
Et je crieJe crie pour toi
Je crie pour moiJe te supplie
Pour toi pour moi et pour tous ceux qui s'aiment
Et qui se sont aimés
Oui je lui crie
Pour toi pour moi et tous le autres
Que je ne connais pas
Reste là
Là où tu es
Là où tu étais autrefois
Reste là
Ne bouge pas
Ne t'en va pas
Nous qui sommes aimés
Nous t'avons oublié
Toi ne nous oublie pas
Nous n'avions que toi sur la terre
Ne nous laisse pas devenir froids
Beaucoup plus loin toujours
Et n'importe où
Donne-nous signe de vie
Beaucoup plus tard au coin d'un bois
Dans la forêt de la mémoire
Surgis soudain
Tends-nous la main
Et sauve-nous.


Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
Cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gioioso
Così irrisorio
Tremante di paura come un bambino quando è buio
Così sicuro di sè
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che faceva paura
Agli altri
E li faceva parlare e impallidire
Questo amore tenuto d'occhio
Perchè noi lo tenevamo d'occhio
Braccato ferito calpestato fatto fuori negato cancellato
Perchè noi l'abbiamo braccato ferito calpestato fatto fuori negato cancellato
Quest'amore tutto intero
Così vivo ancora
E baciato dal sole
È il tuo amore
È il mio amore
È quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
Che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda viva come l'estate
Sia tu che io possiamo
Andare e tornare possiamo
Dimenticare
E poi riaddormentarci
Svegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognarci della morte
Ringiovanire
E svegli sorridere ridere
Il nostro amore non si muove
Testardo come un mulo
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Stupido come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
Ci parla senza dire
E io l'ascolto tremando
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti quelli che si amano
E che si sono amati
Oh sì gli grido
Per te per me per tutti gli altri
Che non conosco
Resta dove sei
Non andartene via
Resta dov'eri un tempo
Resta dove sei
Non muoverti
Non te ne andare
Noi che siamo amati noi t'abbiamo
Dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci morire assiderati
Lontano sempre più lontano
Dove tu vuoi
Dacci un segno di vita
Più tardi, più tardi, di notte
Nella foresta del ricordo
Sorgi improvviso
Tendici la mano
Portaci in salvo.

Jacques Prévert, in Parole, Trad. di Rino Cortiana, Maurizio Cucchi e Giovanni Raboni,TEA, Milano 1998.

06 maggio 2006

La mantellina

Se tu sapessi come si allarma
senza ragione il cuore
quando scendi di corsa le scale di casa
avvolta nella tua mantellina nera e grigia.
Se ora sto a chiedermi dove andrai
che farai, quando ritornerai
sarà perché ricordo che ai miei tempi
la mantellina era un capo di viaggio
(o ai tempi della Primula Rossa?)
La tua breve uscita, la tua lunga assenza
mi fa passare la mano sul volto
guardare lunghi tetti di case
sentirmi come se fossi investito
da una fredda folata di nevischio.

Luciano Erba, L'ippopotamo, Einaudi, Torino 1989.

05 maggio 2006

The main difference

Ed è subito sera (Pronto se hará de noche)


Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera.


Todo el mundo está solo en el corazón de la tierra

traspasado por un rayo de sol:

y pronto se hará de noche.


Salvatore Quasimodo, in Ed è subito sera, Mondadori, Milano 1942.
Per la traduzione in spagnolo: El Poder de la Palabra, Barcelona - Nueva York.

Paris at night

Trois allumettes une à une allumées dans la nuit
La première pour voir ton visage tout entier
La seconde pour voir tes yeux
La dernière pour voir ta bouche
Et l’obscurité tout entière pour me rappeler tout cela
En te serrant dans mes bras.


Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo tra le braccia

Jacques Prévert, in Parole, Trad. di Rino Cortiana, Maurizio Cucchi e Giovanni Raboni,TEA, Milano 1998.

04 maggio 2006

Campagna di ragazza (Campo de muchacha)

Tu sei a volte una contadina frustrata
che prende gli uccelli con le mani,
che ha cura del gatto di casa,
che chiama il cane vagabondo.

Qui non ci sono vacche né cavalli,
però tu li cerchi nel libro,
nel quaderno da dipingere del bimbo,
nel cinematografo.

Vivi tra metalli, tra fili,
tra vestiti inamidati,
tra vasi con fiori di plastica.

Sei della città, però nel fondo
del tuo cuore c'è un canarino,
un cervo selvaggio, un lupacchiotto.

Oscar Acosta, in Giovani poeti dell'America Centrale, del Messico e della Antille, a cura di H. G. Robles e U. Bonetti, Einaudi, Torino 1977.

03 maggio 2006

La lettera

Ti scrivo e la lampada ascolta.
L'orologio aspetta a brevi colpi;
chiuderò gli occhi certamente
e mi addormenterò di noi due...

Dolce è la lampada, ho la febbre;
si ode solamente la tua voce...
Il tuo nome mi ride sulle labbra,
la tua carezza sta nelle mie dita.

Ho la dolcezza di un tempo; in me
singhiozza il tuo povero cuore;
in sonnoveglia non so proprio
se ti scrivo, o se invece sei tu...

Henri Barbusse, in Poeti simbolisti francesi, a cura di G. Viazzi, Einaudi, Torino 1990.

02 maggio 2006

01 maggio 2006

Poesia di compleanno

Poiché hai compiuto gli anni, Benamata, e l’ala del tempo ha sfiorato i tuoi capelli neri, e i tuoi grandi occhi calmi hanno fissato per un momento l’imperscrutabile Nord…
Io vorrei darti, al di là dei baci e delle rose, tutto ciò che non è mai stato dato da un uomo alla sua Amata, io che tanto poco posso offrirti. Vorrei darti per esempio l’istante in cui sono nato, segnato dalla fatalità della tua venuta. Vedresti allora in me, nella trasparenza del mio petto, l’ombra della tua forma anteriore a te stessa.
Vorrei darti anche il mare dove ho nuotato da bambino, il tranquillo mare dell’isola dove mi perdevo, dove m’immergevo e da cui traevo la forma elementare di tutto ciò che esiste nello spazio in alto – stelle morte, meteoriti sommerse, il plàncton delle galassie, la placenta dell’Infinito.
E inoltre vorrei darti le mie folli corse inutili, di certo nella premonitoria ricerca delle tue braccia, e la volontà di aggredire tutto dall’alto, e travalicare tutto ciò che è proibito, e gli elastici salti danzanti per raggiungere foglie, uccelli, stelle – e te stessa, luminosa Lucina, che spargevi chiarore su di me bambino.
Ah, potessi io darti la mia prima paura e il mio primo coraggio nell’affrontarla, e il primo brivido che sentii nell’essere toccato lievemente dalla mano invisibile della Morte.
E cosa non darei per offrirti l’istante in cui, immobile e solo al mondo, mentre risuonava in preghiera il canto ecclesiastico della notte, ho visto la tua forma emergere dal mio fianco, e sforzarsi, immensa ondina archeggiante, per distaccarsi da me; e io ti ho partorito gridando, in mezzo allo scatenarsi di tempeste, rotto e immondo dalla polvere della terra.
Mi piacerebbe darti, Innamorata, quel mattino in cui, per la prima volta, le bianche molecole della carta di fronte a me si sono dilatate dinanzi al mistero della poesia improvvisamente materializzata; e dartela con tutto ciò che vi era di silenzioso e ineffabile – il deliquio delle stelle, il muto turbamento delle case, il mormorio mistico degli alberi che si toccano sotto la Luna.
E anche l’istante precedente la tua venuta, quando, mentre aspettavo che arrivassi, ti ho ricordata adolescente in quella stessa città in cui ti reincontravo anni dopo; e la certezza che ho avuto, nel guardarti, della fatalità notevole del nostro incontro, e che io ero in un solo colpo, perduto e salvo.
Vorrei darti soprattutto, Amata mia, l’istante della mia morte; e che esso fosse anche l’istante della tua morte, in modo che noi, per tanto tempo separati in vita, nel nostro decesso vivessimo una sola eternità; e che i nostri corpi fossero imbalsamati e sepolti assieme e al di sopra della terra; e che tutti coloro che si ameranno ancora potessero venire a vederci nel nostro ultimo letto; e che sulla nostra lapide comune giacesse la statua di un uomo che partorisce una donna dal suo fianco; e che ci fossero soltanto, come epitaffio, i versi di questa canzone che ti ho dedicato.

… dormi, che così
dormirai un giorno
nella mia poesia
di un sonno senza fine…

Vinicius De Moraes, Para viver um grande amor, in Per vivere un grande amore, Trad. di Amina Di Munno, Mondadori, Milano 1998.

Per vivere un grande amore

Per vivere un grande amore, è necessaria molta concentrazione e molto senno, molta serietà e poco riso - per vivere un grande amore.
Per vivere un grande amore, si deve essere uomo di una sola donna; poiché essere di molte, caspita!, è facile…- ma non ha nessun valore.
Per vivere un grande amore, primo è necessario consacrarsi cavaliere ed essere della propria dama per intero - comunque sia. Si dovrà fare del corpo una dimora dove chiudere in clausura la donna amata e appostarsi di fuori con una spada - per vivere un grande amore.
Per vivere un grande amore, vi dico, è necessaria attenzione con il "vecchio amico", che poiché è solo vi vuole sempre con sé per illudere il grande amore. È necessaria moltissima attenzione con chiunque non sia innamorato, poiché chi non lo è, è sempre pronto a infastidire il grande amore.
Per vivere un amore, in realtà, bisogna compenetrarsi nella verità che non esiste amore senza fedeltà - per vivere un grande amore. E dunque chi tradisce il proprio amore per futilità è ignaro della libertà, di quella immensa, indicibile libertà che porta un solo amore.
Per vivere un grande amore, il faut, oltre che fedele, essere un buon conoscitore dell’arte culinaria e dello judo - per vivere un grande amore.
Per vivere un grande amore perfetto, non basta essere una brava persona; è necessario avere anche dei pettorali, pettorali da rematore. È necessario guardare sempre la benamata come la prima fidanzata e anche come la propria vedova, avvolta nel sudario del suo estinto amore.
È assolutamente necessario aprire un credito di rose presso un fioraio – molto più, molto più che dalla sarta! – per far piacere al grande amore. Poiché ciò che davvero interessa al grande amore, è l’amore, è l’amore, amore a iosa; poi una fagiolata con i ciccioli è solo un punto a favore…
È un punto a favore saper fare alcune cosette: uova strapazzate, gamberi, minestrine, sughi, bistecche alla Strogonoff – stuzzichini per il dopo amore. E cosa c’è di più bello che andare in cucina e preparare con amore una gallina con un ricco e gustoso contorno, per il nostro grande amore?
Per vivere un grande amore è molto, molto importante vivere sempre assieme ed essere persino, se possibile, un’unica spoglia mortale – per non morire di dolore. È necessaria una cura costante non solo del corpo, ma anche della mente, poiché l’amata sente un qualunque nostro "calo" – e l’amore si raffredda un poco. Si dovrà essere molto cortesi senza cortesia; dolci e concilianti senza viltà; saper fare quattrini con poesia – per vivere un grande amore.
È necessario sapere bere whisky (non si arrischi mai con un cattivo bevitore!) ed essere impermeabili ai si-dice-che – che non hanno nulla a che fare con l’amore.
Ma tutto questo è inutile, se in questa selva oscura e dissennata non si è capaci di trovare la benamata – per vivere un grande amore.

Vinicius De Moraes, Para viver um grande amor, in Per vivere un grande amore, Trad. di Amina Di Munno, Mondadori, Milano 1998.

Il sabato

Poiché oggi è sabato, comprerò una chitarra per mia figlia Susanna, per farle imparare il do maggiore e cantare un giorno, accanto al letto di morte di suo padre, il valzer "Lacrime di dolore", di Pixinguinha - e suo padre possa così chiudere per sempre gli occhi fra pianti e arrivare all'eternità aiutato dalla mano nera e fraterna del grande musicista...
Poiché oggi è sabato, desidererò essere di nuovo giovane e tremare, come una volta, all'idea di incontrare la donna sposata, dai piedi di giglio; desidererò essere giovane e guardare, come un tempo, i miei bicipiti robusti di fronte allo specchio...
Poiché oggi è sabato, desidererò essere su un treno che va da Oxford a Londra, e al passaggio della stazione di Reading ricordarmi di Oscar Wilde mentre in prigione scrive che l'uomo uccide tutto ciò che ama...
Poiché oggi è sabato, desidererò essere di nuovo in un caffè del Leblon, con il mio amico Ruben Braga, entrambi neri per il sole e con i capelli, ahi, senza canizie; desidererò essere di nuovo bruno di sole e di amori, io e il mio amico Ruben Braga, lungo i marciapiedi luminosi della spiaggia atlantica, la pelle salata di mare e di saliva di donna, ahi...
Poiché oggi è sabato, desidererò ricevere una lettera improvvisa, che abbia su un foglio di carta di lino blu il segno del rossetto di carnose labbra di donna e vedere timbrato sul francobollo il nome di Firenze...
Poiché oggi è sabato, desidererò che la luna nasca in castità, e che io la guardi in cielo a lungo, e che anch'essa mi guardi con i suoi grandi occhi bianchi pieni di segreti...
Poiché oggi è sabato, desidererò scrivere nuovamente la poesia sul giorno di oggi, sentendo la perplessità di una volta di fronte alla parola scritta in poesia, e, come allora, alzarmi con la paura della cosa scritta e andare a guardarmi allo specchio per vedere se io sono proprio io...
Poiché oggi è sabato, desidererò udire mia madre cantare vecchie canzoni perdute, come quando la sera lasciava un vasto silenzio nella casa vuota di tutto tranne che della sua voce infantile...
Poiché oggi è sabato, desidererò essere fedele, essere per sempre fedele; essere con il corpo, con lo spirito, con il cuore fedele all'amica, a colei che mi porta nel suo grembo fin dalle origini del tempo e che, con mani di piuma, asterge da preoccupazioni e angoscia la mia fronte immensa e tormentata...
settembre 1953

Vinicius De Moraes, Para uma menina com uma flor, in Per vivere un grande amore, Trad. di Amina Di Munno, Mondadori, Milano 1998.

30 aprile 2006

Sí, credetemi, amore è tutto questo

Abbandonarsi, ardire, esser furioso,
tenero, aspro, liberale, schivo,
animoso, accasciato, morto, vivo,
leale, infido, vile e coraggioso;

non trovar fuor del bene agio e riposo,
mostrarsi altero, mite, egro, giulivo,
stizzito, pusillanime, aggressivo,
soddisfatto, adontato, sospettoso;

voltar le spalle al chiaro disinganno,
bere veleno per liquore grato,
scordarsi del profitto, amare il danno;

creder che il cielo è in un inferno entrato,
dar l'anima e la vita a un disinganno;
quest'è amore: lo sa chi l'ha provato.

Félix Lope de Vega, Liriche, a cura di R. Paoli, Einaudi, Torino 1974.

La trota

In un limpido ruscello,
guizza lieta e veloce
la trota briosa
traversandolo come una freccia.
Io stavo sulla riva,
e osservavo quieto e sereno
il pesce giulivo che nuotava
nell'acqua chiara.

Un pescatore con la lenza
stava sulla sponda,
ed impassibile guardava
muoversi il pesciolino.
Fin tanto che l'acqua
conserverà la limpidezza, pensavo,
egli non catturerà la trota
con il suo amo.

Ma d'un tratto al furfante l'attesa
sembrò troppo lunga. Perfidamente
intorbida il ruscelletto,
ancor prima ch'io l'abbia pensato; -
ecco vibra la sua canna,
si dibatte il pesciolino all'amo,
ed io col sangue in tumulto
vidi la trota gabbata.

Voi che alla dorata fonte
della rassicurante giovinezza siete,
pensate alla trota;
se vedete il pericolo, correte!
Spesso sbagliate solo per difetto
di scaltrezza. Badate, fanciulle,
ai seduttori con l'amo! -
Vi faran sanguinare e sarà troppo tardi.

Christian Schubart, in I capolavori della poesia romantica, a cura di G. Davico Bonino, Mondadori, Milano 1986 (la trad. di questa lirica è di R. Fertonani).

Allora, è vero, mi aspetterai!

Allora, è vero
tu mi aspetterai
aspetterai che io sparga tutti i semi del canestro
che io riaccompagni a casa l'ape selvatica smarrita
che sul tetto della barca, nella capanna, nella stalla
si accendano piccoli lumi a olio e torce
aspetterai che io legga una finestra che sbatte luminosa o buia
e abbia smesso di parlare con gli spiriti luminosi o bui
aspetterai che la grande Via diventi canto
che l'amore cammini fin sotto al sole
quando il vasto Fiume d'argento ci separerà
tu ancora aspetterai paziente
che io costruisca una zattera fedele

Allora è vero
non puoi più rimangiarti la promessa
anche se le mie morbide mani sono già screpolate
e dalle guance sono scomparse le nuvole rosa della primavera
anche se il mio flauto soffia sangue
e la neve ghiacciata non si scioglie prima
anche se alle spalle c'è una frusta e di fronte il precipizio
anche se il buio mi raggiunge prima dell'aurora
ed io e la Terra ci immergiamo insieme
e non ho nemmeno il tempo di liberare l'uccello d'amore
ma per la tua attesa e fedeltà
sono io che
pago il prezzo del sacrificio

Ora lascia che essi
sparino su di me
Camminerò tranquilla in campo aperto
andando verso te, andando verso te
il vento agiterà i miei lunghi capelli
e sarò il tuo giglio nell'acquazzone improvviso

Shu Ting, in Nuovi poeti cinesi, a cura di C. Pozzana e A. Russo, Einaudi, Torino 1996.

29 aprile 2006

La domanda giusta

La domanda che dobbiamo porci non è se ci stimiamo, ma "quando ci stimiamo".

  • Quando ci liberiamo dalle catene della nostra storia.
  • Quando non abbiamo obiettivi rigidi e prestabiliti.
  • Quando abbandoniamo le nostre certezze, siamo cedevoli verso le esperienze e aperti al nuovo.
  • Quando non giudichiamo noi stessi e gli altri.
  • Quando facciamo le cose con passione e creatività.
  • Quando sappiamo stare da soli e non rifuggiamo il silenzio.
  • Quando riusciamo a "galleggiare" nelle cose che ci succedono senza cercare di modificarle a tutti i costi.
  • Quando consentiamo alla tristezza di fluire dentro di noi come un'energia purificatrice.
  • Quando l'importante non è il risultato, ma l'arricchimento che riusciamo a trarre da un'esperienza.
  • Quando sappiamo osservare i brutti pensieri che ci vengono senza metterli in atto né giudicarli.
  • Quando non ripetiamo sempre gli stessi comportamenti in modo automatico.
  • Quando ci occupiamo amorevolmente del nostro corpo.
  • Quando non siamo esageratamente toccati dalle cose che ci capitano quotidianamente, belle o brutte che siano.

Ci stimiamo quando siamo felici e in sintonia con la nostra intima natura.

E la persona felice è quella che non parla sempre di sé e non si lamenta.

AA.VV., L'autostima a tutte le età, a cura di V. Caprioglio, D. Marafante e N. Travaini, RIZA Scienze, n. 207, Agosto 2005.

La depressione


La depressione
by Franco Matticchio, RIZA psicosomatica, n. 295, Sett. 2005.

Aspettando

Mi sussurrò: "Domani?". Ed io: "Domani
m'avrai tra le tue braccia a l'istessa ora;
fra i tuoi capelli passerò le mani,
tu, sognando, dirai che m'ami ancora".

Ecco, son qui. Lo attendo. A i più lontani
passi, a ogni lieve suon che vien da fuora
tendo l'orecchio, e in desideri arcani
frugo con gli occhi la gentil dimora.

È un vago nido. Le finestre aperte
di primavera invitano all'incanto:
scherza il sole tra i fiori e su 'l velluto.

Io l'armi antiche e i quadri, onde coperte
son le mura, contemplo; e penso intanto
qual tesoro di baci ho già perduto.

Contessa Lara, in Il tesoro della poesia italiana. Dal Seicento all'Ottocento, a cura di G. Davico Bonino, Mondadori, Milano 1982.

Metà dell'anima è fuggita

Metà dell'anima mia
ancora è viva e spira,
l'altra metà non so se Amore
o Morte la portò via.
Ch'è sparita lo so.
Forse è presso qualcuno dei ragazzi.
Pure già tante volte avevo detto:
"Non le date ricetto
quando fugge da me"...
Sí, è là che s'aggira
smaniosa d'amore, degna
che si pigli a sassate.

Callimaco, Epigrammi, a cura di A. Angelini, Einaudi, Torino 1990.