25 giugno 2006

Quelle sue labbra ch'era peccato mordere

Quelle sue labbra ch'era peccato mordere
tanto infantili e tenere s'aprivano
(neve di sogno non può il tempo sciogliere)

chiude un sigillo di divina cera.
Ma avete flauti eterni come il mare,
o labbra più profonde della sera.


Maria Luisa Spaziani, Poesia d'amore del Novecento a cura di Angela Urbano, Crocetti Editore, Milano 2005. Pubblicata sul web in POESIA.

24 giugno 2006

Assenza ovunque vedo

Assenza ovunque vedo:
nei tuoi occhi la rifletti.

Assenza ovunque ascolto:
la tua voce suona tempo.

Assenza ovunque aspiro:
il tuo fiato d'erba odora.

Assenza ovunque tocco:
si spopola il tuo corpo.

Assenza ovunque sento.
Assenza. Assenza. Assenza.

Miguel Hernández, in Poeti del Novecento italiani e stranieri, a cura di E. Croce, Einaudi, Torino 1960 (la trad. di questa lirica è di D. Puccini)

14 giugno 2006

In sogno ti vedo ogni notte

Io sogno ti vedo ogni notte
mi saluti, nel sogno, con affetto;
ed io, rompendo in lagrime dirotte,
ai piedi tuoi mi getto.

Tu mesta a me guardi fisso,
e scuoti la testina bionda;
a perla a perla, lento per il viso,
il pianto dagli occhi ti gronda.

E mi sussurri lieve una parola,
e un mazzo di cipresso mi dài tu.
Io mi desto ed il mazzo s'invola,
e la parola, ahimè, non la so più.


Heinrich Heine, Il libro dei canti, intr. di V. Santoli, trad. di A. Vago, Einaudi, Torino 1983.


05 giugno 2006

Es verdad (È vero)

¡Ay que trabajo me cuesta
quererte como te quiero!

Por tu amor me duele el aire,
el corazón
y el sombrero.

¿Quién me compraría a mí
este cintillo que tengo
y esta tristeza de hilo
blanco, para hacer pañuelos?

¡Ay que trabajo me cuesta
quererte como te quiero!


È vero

Ahi quanto mi costa
amarti come ti amo!

Per amor tuo mi duole l'aria,
il cuore
e il cappello.

Chi comprerebbe da me
questo nastrino che ho
e questa tristezza di filo
bianco, per fare fazzoletti?

Ahi, quanto mi costa
amarti come ti amo!


Federico García Lorca, Imprevisto amore, a cura di Donatella Ziliotto, Salani, Milano 2001. La traduzione di questa poesia è di Piero Menarini.

03 giugno 2006

Se non ci sei...

Se non ci sei, mi sembra un sepolcreto
questo villaggio;
svanita è la malía del paesaggio,
del verde idillio queto
se non ci sei.

Se non ci sei, rifaccio il mio sentiero
a fronte bassa,
e i colli, i fior, la nuvola che passa,
tutto mi è strano e nero,
se non ci sei.

Se non ci sei, se non ti leggo in volto
che sai ch'io t'amo,
che irrequïeto ti sogno e ti chiamo,
che il raggio mio m'è tolto,
se non ci sei;

se non ci sei, mi avvinghia oscuramente
nelle sue braccia
la Noia, incúbo dalla tetra faccia;
l'ore son nebbie lente
se non ci sei;

ma se ti trovo, sfuggon via col volo
delle farfalle;
ride la casa, un cantico è la valle,
un trillo d'usignuolo,
quando ti trovo!

Giovanni Camerana, in Il tesoro della poesia italiana. Dal Seicento all'Ottocento, a cura di G. Davico Bonino, Mondadori, Milano 1982.

Digitale purpurea

I.

Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,

l’altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch’ardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti

più?» «Non più, cara.» «Io sí: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;

quei piccoli anni cosí dolci al cuore…»
L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi
quell ’orto chiuso? i rovi con le more?

i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? Quel segreto canto
misterïoso, con quel fiore, fior di …?»

«morte: sí cara». «Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.

Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
l’anima d’un oblío dolce e crudele.

Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea!» Maria parla: una mano
posa su quelle della sua compagna;

e l’una e l’altra guardano lontano.


II.

Vedono. Sorge nell’azzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno d’incenso.

Vedono; e si profuma il lor pensiero
d’odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d’innocenza e di mistero.

E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
là, da tastiere appena appena tocche…

Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
ospite caro? onde piú rosse e liete
tornaste alle sonanti camerate

oggi: ed oggi, piú alto, Ave, ripete,
Ave Maria, la vostra voce in coro;
e poi d’un tratto (perchè mai?) piangete…

Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
senza perché. Quante fanciulle sono
nell’orto, bianco qua e là di loro!

Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
di vele al vento, vengono. Rimane
qualcuna, e legge in un suo libro buono.

In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,

l’alito ignoto spande di sua vita.


III.

«Maria!» «Rachele!» Un poco piú le mani
si premono. In quell’ora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.

Memorie (l’una sa dell’altra al muto
premere) dolci, come è triste e pio
il lontanar d’un ultimo saluto!

«Maria!» «Rachele!» Questa piange. «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no; «Io, -

mormora, - sí: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a

ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.

Maria, ricordo quella grave sera.
L’aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M’inoltrai leggiera,

cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!

Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che vedi… (l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta

con un suo lungo brivido…) si muore!»

Giovanni Pascoli, Poemetti, a cura di E. Sanguineti, Einaudi, Torino 1971.