25 agosto 2006

Solitudine

[...] Trovo salutare restar solo per la maggior parte del tempo. Essere in compagnia, anche dei migliori, provoca subito noie e dispersioni. Amo restar solo. Non trovai mai un compagno che fosse tanto buon compagno della solitudine. Per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. Un uomo che pensi o lavori è sempre solo - lasciatelo stare dove vuole. La solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un uomo e il suo prossimo. Lo studente realmente studioso, è un solitario, in uno degli affollati alveari di Harvard come un derviscio nel deserto. Il contadino può lavorare da solo per tutto il giorno, nel campo o nel bosco, zappando o tagliando legna, e non sentirsi tale perché ha qualche cosa da fare; ma a sera quando torna a casa, non può sedersi da solo in una stanza, alla mercé dei suoi pensieri, ma deve restare dove può "veder gente", e ricreare e - come s'immagina - remunerare se stesso per la sua solitudine giornaliera; pertanto, egli si meraviglia come mai lo studente possa sedere, solo, in casa, per tutta la notte e gran parte del giorno, senza noia e pensieri neri; non capisce che lo studente, sebbene in casa, sta ancora lavorando il suo campo e sta tagliando nel suo bosco, come il contadino, e che a sua volta cerca lo stesso divertimento di quest'ultimo, sebbene, magari, in una forma più condensata. [...]

Henry David Thoreau, in Opere scelte di H. D. Thoreau a cura di Pietro Sanavio, Neri Pozza, Venezia 1958, p. 398.